Il Genoa e il Vado sono accomunati, oltre che dal fatto di avere la maglia rossoblù, dall’essere le squadre che hanno per prime iscritto i loro nomi nell’Albo d’Oro delle due principali competizioni calcistiche italiane (il Campionato nel 1898 la formazione del capoluogo regionale e la Coppa Italia nel 1922 quella rivierasca) e dall’avere avuto tra le loro fila un grande campione come Virgilio Felice «Levre» Levratto II. L’autore dell’unica rete – da lui sfondata con una «bordata» di sinistro – nella Finalissima, giocata domenica 16 luglio 1922 al campo “Leo” di Vado Ligure dai rossoblù locali contro l’Udinese, della prima edizione della Coppa Italia, restò con la formazione mai militante nella massima serie per altre due stagioni agonistiche, rappresentandola nelle tre partite dei Giuochi Olimpici di Parigi disputate dalla Nazionale Italiana. Dopo essere ritornato dalla «manifestazione a cinque cerchi», visto che doveva completare il servizio di leva, incominciato a Torino, come artigliere nella città scaligera, venne prestato per un anno all’Hellas Verona, militante nella massima serie, dopodiché, quando venne congedato, era ovvio che il ventunenne attaccante «dal sinistro proibito» avrebbe continuato a giocare nel massimo campionato. Levratto II preferì tra le sue due pretendenti – Juventus e Genoa – optare per quella che gli avrebbe consentito di restare nella sua regione, anche perché, a differenza del sodalizio bianconero, quello rossoblù non lo obbligava a risiedere nella città in cui si svolgevano gli allenamenti e le partite casalinghe. L’offerta del Genoa al Vado fu inferiore di 10.000 lire (25.000 anziché 35.000) rispetto a quella prospettata dalla Juventus, sicché è credibile ipotizzare che l’incasso dell’incontro di inaugurazione del “Campo delle Traversine” tra le due squadre che avevano definito il passaggio del formidabile attaccante disputatosi mercoledì 4 novembre 1925 (giorno festivo, in quanto settimo anniversario della vittoriosa conclusione della Grande Guerra) andasse a parziale compensazione per le casse vadesi di quel «gap» finanziario tra le due offerte.
L’attenzione dei giornali fu rivolta per ciò che atteneva alle notizie sportive all’incontro amichevole di inaugurazione a Padova dello stadio “Silvio Appiani” (il dedicatario, morto al fronte ventunenne a San Martino del Carso giovedì 21 ottobre 1915, era stato attaccante, capitano e allenatore della compagine biancoscudata), tra Italia e Jugoslavia vinto dagli Azzurri per 2-1, per la quale il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana, Augusto Rangone, dopo la partita di allenamento a Marassi, vinta 3-0 domenica 1° novembre contro gli ungheresi militanti nel Campionato Italiano, aveva convocato tre calciatori del Genoa, il portiere Giovanni «Ragno» De Prà e i mediani laterale Ottavio Barbieri e centrale Luigi «Luigin» Burlando, che poi non avrebbe fatto scendere in campo, interrompendo così una «striscia» di trentasei partite consecutive con almeno un genoano schierato, incominciata domenica 11 gennaio 1914 con il pareggio «a reti bianche» contro l’Austria a Milano (dal computo è ovviamente escluso l’incontro Svizzera-Italia 3-3, disputatosi domenica 6 novembre 1921, per il quale la Federazione Italiana Giuoco del Calcio aveva escluso i calciatori tesserati da società – il Genoa era una di esse – appartenenti alla «secessionista» Confederazione Calcistica Italiana, una sorta di SuperLega «ante litteram» di ambito nazionale che caratterizzò la stagione agonistica 1921/1922), sicché di Vado-Genoa 0-2 ci resta soprattutto l’articolo del giornale genovese “Il Lavoro”, che purtroppo non riportò la formazione della squadra locale (in cui normalmente giocavano in porta il diciottenne Manlio Bacigalupo III, in seguito grande estremo difensore di Andrea Doria, Torino, con il quale vinse il Campionato 1927/1928, Genova 1893, Sampierdarenese e Venezia, e in attacco Pierino Levratto III, il fratello minore della «star» della giornata), oltre alla fotografia che viene pubblicata, ritraente il capitano del Genoa, Renzo «il figlio di Dio» De Vecchi, tra due giocatori vadesi, alla sua destra Borra e alla sua sinistra il capitano Enrico Romano, e a quella di una fase della cerimonia di inaugurazione che viene mostrata su internet nell’articolo – risalente a quasi nove anni fa – “Storia del campo delle traversine, per 42 anni palcoscenico del Vado FBC” di Luciano Angelini e Franco Astengo.
Prima del fischio d’inizio, dato dall’arbitro Giovanni Ferrando, a più riprese presidente – fino alla qualifica di «onorario» conferitagli nel 1970 – del sodalizio locale, la bella e simpatica signorina Montaldo, che era stata nominata «madrina» dell’inaugurazione del “Campo delle Traversine” (in cui il Vado avrebbe giocato fino al Campionato 1966/1967), secondo il rituale dell’epoca, sancì il «battesimo» del nuovo impianto, rompendo contro il palo di una delle due porte una bottiglia di champagne.
Poi cominciò l’incontro, sostanzialmente equilibrato nel primo tempo, in cui gli ospiti, che avevano una categoria di differenza rispetto agli avversari, sbloccarono il risultato con Emilio Aristodemo «Maja» Santamaria I, e con una netta prevalenza genoana nella ripresa, in cui la rete del definitivo 2-0 venne siglata proprio da Levratto II, che in quella giornata per lui speciale fu autore di giocate entusiasmanti.
Il tecnico inglese del Genoa, «Mister» William Thomas «Billy» Garbutt, schierò in porta Enrico Carzino I sr., come terzini Francesco Grassi e De Vecchi, nel reparto mediano Dario Pratoverde, Luigi Scappini I ed Emilio Guidi Miglietta e in attacco Edoardo «Edo» Catto (impiegato come centravanti nel secondo tempo), Luigi «Gigi» Boer (spostato ad ala destra nella ripresa), Cesare «Mimmo» Alberti II (utilizzato come mezzala destra nel secondo tempo), Santamaria I e Levratto II.
Alla sera ci fu il «terzo tempo», rappresentato da un festoso banchetto che riunì i giocatori e i dirigenti del Genoa, che nella cittadina – ancora in provincia di Genova, come sarebbe stato per i successivi quattordici mesi, prima di passare a quella, appena istituita, di Savona – erano stati fatti oggetto di un’entusiastica accoglienza, e quelli del Vado.
Stefano Massa (membro del Comitato Storico Scientifico della Fondazione Genoa 1893)




